di Chiara D’Elia
COSA È UNA BLOCKCHAIN?
Da un punto di vista tecnico la blockchain è una struttura dati[1] condivisa e immutabile le cui voci sono raggruppate in “blocchi”, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità[2] è garantita dall’uso della crittografia.
La crittografia[3] (dal greco κρυπτóς [kryptós], “nascosto”, e γραφία [graphía], “scrittura”) è un sistema che tramite l’utilizzo di un algoritmo matematico agisce su una sequenza di caratteri, trasformandola. Tale trasformazione si basa sul valore di una chiave segreta, ovvero il parametro dell’algoritmo di cifratura/decifratura. La blockchain fa un uso estensivo della crittografia e ne fa un uso diverso, quasi improprio (ne sfrutta una proprietà), poiché utilizza la difficoltà creata dalle tecnologie crittografiche per creare compiti difficili ma non impossibili da risolvere per i computer; questo “trucco” permettere di chiudere i blocchi della blockchain.
Confrontandosi con le molte complessità tecniche della blockchain, si deve tener presente che il fulcro di tutto risiede nel fatto che essa è un registro con supporto digitale e che i registri[4] sono il pilastro della nostra società poiché conservano e tutelano i dati che riguardano le nostre vite oltre che quelli delle nostre proprietà e delle nostre attività economiche. E, alla stessa stregua dei vecchi registri di pergamena, la blockchain svolge il suo compito primario comune a tutti i registri sin dall’antichità: registrare, custodire e informare sui dati che vi si trascrivono.
Il tratto caratteristico di tale tecnologia è che svolge il suo lavoro in modo inalterabile, sicuro ed inoppugnabile, e, soprattutto, senza alcun bisogno di una entità centrale esterna, munita di autorità, che garantisca la certezza dei dati e cui fare affidamento per validare le transazioni. Ciò può quasi sorprendere dato che, fin dalla loro origine, i registri sono stati caratterizzati da una gestione centralizzata, con un’unica copia di riferimento in grado di garantire la consistenza e l’autenticità delle informazioni in essi contenuta.
Per certi versi quindi è simile a un libro mastro[5] digitale, o ledger in inglese, distribuito aperto a chiunque. Risulta difficile stabilire a quando risale l’utilizzo del ledger: certamente, dal momento in cui, grazie alla scrittura, la nostra civiltà ha iniziato a lasciare una memoria delle proprie azioni il ledger è diventato un riferimento per l’interpretazione e la gestione delle relazioni e transazioni con carattere commerciale o di scambio tra due o più parti. Dunque, in altre parole, il ledger ha un valore nel momento e nella misura in cui può essere consultato e permette di stabilire una memoria storica per controllare, verificare e gestire le transazioni e gli scambi che sono stati effettuati[6]. Certamente, quando il “media” di riferimento era rappresentato da pietra o legno o, in periodi più evoluti, da papiro o carta, il ruolo di questo libro mastro era evidentemente limitato. E in effetti per il ledger, come per tantissime altre attività umane, la prospettiva è completamente cambiata con l’avvento del computer.
L’evoluzione tecnologica costituita dalla diffusione della connettività pervasiva, dall’aumento della velocità della rete e dall’introduzione della crittografia ha reso possibile lo sviluppo di sistemi caratterizzati da architetture nuove che superano i tradizionali limiti dei sistemi centralizzati, in particolare l’affidabilità dipendente dal funzionamento del sistema centrale che in caso di guasto blocca l’operatività di tutti gli utenti e la scalabilità determinata dalle performance del sistema centrale che deve essere modificato o sostituito qualora le esigenze degli utenti aumentassero.
[1] In informatica, una struttura dati è un’entità usata per organizzare un insieme di dati all’interno della memoria del computer, ed eventualmente per memorizzarli in una memoria di massa. Una struttura dati quindi è un modo sistematico di organizzare i dati utilizzati da un algoritmo; per questo, spesso essi vengono considerati insieme.
[2] Per integrità dei dati si intende l’accuratezza, la completezza e la coerenza dei dati nel loro complesso. Si riferisce anche alla salvaguardia e alla sicurezza dei dati in termini di conformità alle norme, come il Reg. (UE) 679/2016.. Viene garantita da una serie di processi, regole e standard implementati in fase di progettazione. Quando l’integrità dei dati è sicura, le informazioni memorizzate in un database rimangono complete, accurate e affidabili, indipendentemente dalla durata di conservazione o dalla frequenza degli accessi. L’integrità dei dati assicura inoltre la protezione dei dati da forze esterne.
[3] Si noti che nella storia occidentale il primo caso di testi cifrati sembra essere quello descritto da Plutarco nella Vita di Lisandro dove si fa cenno all’impiego da parte degli spartani della cosiddetta scitala lacedemonica. La scitala lacedemonica era composta da un bastone di lunghezza e larghezza nota e da un nastro sul quale scrivere. Si avvolgeva il nastro attorno al bastone e vi si scriveva sopra per colonne parallele all’asse del bastone lettera dopo lettera. Una volta sciolto il nastro il testo scritto era trasposto e non era facilmente riconducibile all’originale senza un bastone di eguale misura a quello originale. Anche Giulio Cesare usava la crittografia usando la tecnica della traslazione nelle lettere che inviava.
[4] Il concetto di “registro” ha una origine decisamente antica, le prime tavolette di argilla utilizzate per registrare le quantità di beni (grano, bestiame, ecc.) sono comparse oltre 5.000 anni fa in Mesopotamia.
[5] Il libro mastro è una scrittura contabile nel quale le singole operazioni sono registrate non cronologicamente ma sistematicamente per tipo di operazione, per cliente, ecc.
[6] Steve Tendon ha paragonato la blockchain all’antico Domesday Book, il manoscritto che raccoglie i risultati di un grande censimento completato nel 1086 da Guglielmo d’Inghilterra riguardante la maggior parte dell’Inghilterra e parte del Galles. Il processo di censimento fu così imponente e preciso che nulla poté sfuggire all’immenso lavoro svolto dai tecnici della corona. Quel registro venne chiamato Domesday proprio perché per i proprietari terrieri costituiva il “Giudizio Universale”: non avevano più modo di evadere fiscalmente le tasse patrimoniali occultando i loro possedimenti, né potevano opporre contestazioni su quanto registratovi all’interno, ritenuto, infatti, così affidabile e preciso, al di là della stessa autorità del re, che i record ivi contenuti avevano un effetto quasi automatico, tutto racchiuso nell’iscrizione principale “hic annotatur tenentes terras!”. Tuttavia, l’autorevolezza oggettiva del Domesday, frutto della precisione e della profondità di indagine che ne sta alla base – e che riuscì a conferire a quel registro un’autosufficienza che durò per secoli – certamente sfuggì in altri casi di composizione dei registri che sono rimasti sempre affidati all’autorità dell’ente centrale a cui venivano affidati.