di Chiara D’Elia
Il problema della scalabilità: governance on-chain e off-chain?
Da un punto di vista teorico, l’approccio generale per affrontare il problema della scalabilità ruota generalmente attorno a miglioramenti a livello di protocollo. Al riguardo sono state proposte alcune iniziative come l’aumento delle dimensioni dei blocchi e le blockchain di sola transazione (ossia senza blocchi)[1], come avviene in IOTA, per affrontare i problemi di scalabilità in quanto aumentano la capacità della blockchain stessa invece di utilizzare canali laterali.
Altre proposte includono, invece, soluzioni on-chain altrimenti off-chain.
Il primo approccio – la governance on-chain – si riferisce a regole e processi[2] decisionali incorporati nel codice blockchain sottostante, la cosiddetta rule of code. Questo tipo di governance definisce quindi le regole di interazione tra i partecipanti attraverso l’infrastruttura all’interno della quale queste avvengono. In questo modello gli utenti all’interno della blockchain votano direttamente sulle decisioni da prendere e a seconda di come si svolge il voto, la blockchain applica automaticamente il risultato di quel voto. La governance on-chain è quindi una proposta radicale: tenta di mettere da parte l’aspetto più emotivo tipico delle organizzazioni tradizionali con l’intento di trasformare la blockchain in una democrazia meccanicistica autogovernata. Inoltre si noti che una simile tipologia di governance non può essere facilmente evitata o bypassata stricto sensu, perché opera secondo un sistema di regole che sono state codificate direttamente nel sistema che è responsabile della loro applicazione.
Il secondo approccio – la governance off-chain[3] – riguarda fondamentalmente il modo in cui la maggior parte delle istituzioni private sono governate: individui che hanno fiducia nella comunità si uniscono e formano un gruppo, che è responsabile della governance e del benessere della blockchain. Quel gruppo ha il compito di correggere bug[4] e vulnerabilità della sicurezza, aggiungere funzionalità e migliorare la scalabilità, rappresentare la blockchain nelle discussioni pubbliche e mantenere il giusto equilibrio di potere tra utenti, miners[5] e aziende[6]. La governance “fuori catena” include regole sia endogene che esogene. Quest’ultima categoria comprende tutte le regole imposte da un terzo al riferimento comunità, ad es. leggi e regolamenti nazionali, accordi contrattuali, tecnologia standard e così via. La prima categoria si riferisce alle regole adottate da una comunità di riferimento per garantire il corretto funzionamento e lo sviluppo continuo di un sistema basato su blockchain (comprese le procedure per attuare le modifiche ai protocolli). Le regole esogene, al contrario, comprendono tutte le norme imposte da un terzo alla comunità di riferimento, ad es. le leggi e i regolamenti nazionali, gli accordi contrattuali, gli standard tecnologici e così via.
Il dibattito in corso sulla governance on-chain e off-chain verte sulla questione pratica se le regole e i processi decisionali esistenti che governano un sistema basato su blockchain debbano essere modificati internamente o esternamente alla comunità di riferimento, e se il sistema debba prevedere un meccanismo per modificare la struttura di governance stessa. Un simile interrogativo conduce alla questione se un insieme esistente di regole basate su codici potrebbe e dovrebbe superare l’esercizio del giudizio umano nel processo decisionale, e quali sono le considerazioni etiche e politiche che ciò comporterebbe.
Il contraltare di tali scelte implementative, tuttavia, comporta anche alcuni potenziali rischi in quanto tangle è intrinsecamente meno sicura poiché il meccanismo di consenso è molto semplificato ed è quindi possibile introdurre con relativa facilità transazioni con fini malevoli. Ancora, IOTA tangle non è pienamente decentralizzata, in quanto è stato necessario inserire nell’architettura un elemento di centralizzazione (detto “coordinator node”) che a intervalli regolari interviene per garantire che tutte le transazioni vengano omogeneamente approvate il più velocemente possibile, evitando di lasciare transazioni “orfane” – cioè non approvate per un periodo di tempo troppo lungo.
Fig. 2 – Blockchain e IOTA a confronto[7]
Superando la definizione tecnica di distribuited ledger, blockchain e tangle è possibile inserire queste tecnologie nel contesto più ampio del cosiddetto Internet of Value (che sia monetario o intellettuale o che esprima un diritto, per esempio il voto, o ancora che rappresenti una proprietà, per esempio le azioni societarie, etc.), ovvero una rete digitale dove i nodi si scambiano valore, in assenza di fiducia, attraverso un sistema di algoritmi e regole crittografiche per raggiungere il consenso sulle modifiche di un registro distribuito che tiene traccia dei trasferimenti di valore tramite asset digitali univoci.
Diversamente da quanto avviene nel contesto informatico – in cui ogni bit, file e in generale qualsiasi informazione registrata possono essere illimitatamente ed agevolmente copiati, diffusi e trasmessi senza sostenere costi o oneri aggiuntivi – la blockchain, rendendo scarsa l’informazione (si parla al riguardo di “scarsità digitale”), fa sì che un bene immateriale acquisisca un valore[8] che altrimenti non possiederebbe. Nella pratica questo è possibile solo grazie alle tecnologie crittografiche che, applicate ad un dataset, lo rendono identificabile e tracciabile in maniera univoca all’interno di un sistema in cui, se così non fosse, non si avrebbero elementi per distinguere gli originali dalle relative copie.
[1] Ciò lo rende intrinsecamente più veloce rispetto alle blockchain basate su blocchi come Bitcoin, dove il tempo di attesa tra le generazioni di blocchi è di almeno circa 10 minuti.
[2] Quest’ultimi possono essere stratificati, il che significa che uno strato di regole è soggetto ad un altro. Ad esempio, alcune regole possono consentire modifiche infrastrutturali stabilendo le procedure per cambiare altre regole (di livello inferiore) e potenzialmente anche le stesse (di livello superiore)
[3] La maggior parte delle principali blockchain – Bitcoin, Ethereum, Litecoin, Monero e ZCash – è governata da un processo di governance come questo.
[4] In informatica, errore di funzionamento di un sistema o di un programma.
[5] Il miner è un nodo speciale del network che mette a disposizione i suoi computer per il processo di mining, ossia il processo in cui le informazioni vengono impacchettate in un blocco che successivamente viene accodato nella blockchain.
[6] Apparentemente sembra un sistema centralizzato, ma esiste sempre la possibilità di una rivolta verso il “sistema”. Infatti, se un numero sufficiente di utenti non è d’accordo con la governance del protocollo, possono decidere di avviare un hard fork e creare una blockchain parallela.
[7] Come dimostra la figura l’architettura IOTA supera i colli di bottiglia delle blockchain tradizionali mantenendo però l’obiettivo di decentralizzazione.
[8] Duplicare un asset progettato per rappresentare una valuta in digitale significa sminuire questo valore sino ad annullarlo. Ecco perché il mondo della finanza prima di tutto ha compreso il valore della blockchain nella sua capacità di garantire l’unicità di un asset digitale. Lo stesso valore è ben compreso da tantissimi altri settori che stanno rappresentando in digitale prodotti e servizi e che hanno a loro volta capito che il digitale permette di gestire in modo molto più efficiente scambi e transazioni solo ed esclusivamente se si garantisce la capacità di evitare duplicazioni, ovvero solo se si garantire l’unicità dell’asset.